domenica 26 dicembre 2010

Un Natale strano - Il Marmotta


Il Marmotta

Alle 5 del mattino, giusto dopo il solito caffè, A.L., prendendo la strada del garage, avvertì una stranissima sensazione di prurito e una vampata di calore improvvisa su tutto il corpo  – deve essere la febbre. Pensò.
Salì in auto, accese i fari. Giocò su e giu con la leva dei fanali per covincersi di quello che stava vedendo - un attimo di riflessione- il giaccone in mano tornò a letto:

Caro oggi non lavori? Chiese la moglie.
No, oggi no – fu la risposta decisa.
E perché ?
Perché siamo alla fine del mondo. E si addormentò.

La vigilia del Natale 1974 - fu un evento indimenticabile per gli abitanti della regione.... -  Un’ondata di caldo fuori dal comune aveva inghiottito la città elimindando nottetempo la neve che da diverse settimane si era depositata placida su ogni suo immobile sicché i tetti, le auto, le insegne tutto comprese le strade ricoperte da una pellicola lucida che brilloccava sotto un cielo terso e limpido che sapeva d’estate anziché di Natale.

Il nuovo portò una contagiosa allegria in giro. Nel primo mattino, la città aveva scullato i suoi abitanti dalle case – si incrociavano sguardi increduli e curiosi di una spiegazione. Persone che raramente si davano il saluto, anzi tenevano lo sguardo inchiodato sulla strada, salutavano vicini cui erano stati indifferenti per anni. Molti si fermavano a parlare come se tornassero da un lungo viaggio e non si fossero visti da una vita e sentissero il bisogno di raccontare anni passati fuori in paesi stranieri e quasi ostili. Le strade pulsavano come se al loro interno battesse un anima, le auto parevano fischiettare e soprattutto le radio contribuirono alla allegria diffusa: non solo inni natalizi, ma musica che sapeva di primavera e estate si diffondeva e si intrecciava nell’aria, addobando di immaginarie foglie gli alberi spogli.

Nell’aria calda delle prime ore si registrarono anche delle vittime. A cadere in seguito al mutamento climatico furono i pupazzi di neve che, ovunque in quel periodo dell’anno, sorgevano nei giardini di tutte le abitazioni. Ovunque, un ecatombe di babbi natale. Non erano rimasti che a loro misera memoria carote, pendoli che fino ad alcune ore prima avevano servito da cappello, rametti di legno discreti baffi, e tutto un armamentario (bottoni, panciotti lisi rigosaremente rossi) giacevano inzuppati a terra.
I bambini furono i più colpiti dalla dissoluzione delle loro opere. Ma la loro delusione fu mitigata dall’inaspettato panorama e dalla possibilità di correre incontrallati come non succedeva da mesi. Così, presto si trovarono fuori a loro volta inseguiti dalle raccomandazioni materne di portarsi le giacche appresso – per il timore di un improvviso abbassamento di temperatura.
Nel borgo di San Giovanni alle 9,30 i membri dei Ragni Neri si trovarono al solito posto sotto la pensilina del tram che fungeva da punto di raduno. Tutti avevano due giri di giacca e maglione attorcigliati allo stomaco che facevano anche dei piu magri voluminosi scarafaggi su due piedi, più un paio di pattini su lame luccicanti alle spalle.
Marmotta, che era il capo e con sofferenza portava un copricapo di marmotta, guardava il suo gruppo con orgoglio – la sua banda era disposta ai suoi ordini. Era una delle bande meno radicate sul territorio, con un nucleo di pochi bambini fissi, il resto era occasionali o di passaggio. E tra le piu bastonate: sportivamente parlando. I ragni erano una squadra d’hockey d’inverno che giocava a calcio d’estate. In entrambi gli sport le sconfitte erano una costante. Una polisportiva di sfigati. Marmotta, un bassotto tracagnotto, naso gocciolante, se la cavava un po’ nell’uno e nell’altro sport ma senza eccellere – per quanto amasse dire che il suo nome era in prima fila nell’agenda dei talent scout della regione alla ricerca di valide promesse. L’estate scorsa, uno dei suoi refrain preferito, era il possibile contratto - proposta strabiliante – di una societa per cui avrebbe giocato come calciatore e hockeista. Un’offerta difficile da rifiutare.
E infatti in un primo momento aveva firmato sotto lo sguardo di una madre preoccupatissima e di un padre orgoglioso. Ma la penna aveva appena tracciato il suo nome che il marmotta aveva strappato il contratto tra la sorpresa del talent scout, le lacrime della madre e la sguardo greve del padre che pareva aver apprezzato e capito il gesto. Se avesse lasciato i Ragni avrebbe avuto una vita spianata verso il successo ma mai si sarebbe sentito cosi soddisfatto come lo era adesso a capo del suo team.
Ad ogni giro di racconto, sfumature, particolari venivano aggiunti: ad esempio il talent scout era venuto accompagnato dalla sua ragazza, una fantastica marziana, che, alla fine della storia, lo baciava e gli predicava un futuro di grande uomo. Altre volte diceva ......
 La verve narratrice del Marmotta non era legata solo a eventi sportivi, si snodava pure attorno ad avventure varie: la preferita di quel periodo era legata alla guida  di un elicottero di uno zio tenente di volo. E a conferma di ciò chiedeva a turno se per caso avessero sentito il frastuono del motore, delle pale, e bastava che qualcuno si ricordasse di un vago rumore o facesse un cenno d’assenso che subito la leggenda si materializzava. Certo, se qualcuno faceva notare che proprio il giorno prima aveva visto un film alla tele su una storia di elicotteri, il Marmotta non scomponendosi rispondeva freddo: e che vuol dire?

I racconti  erano passabilmente diversi, tipici dei bambini  di 10 anni. Di solito, le capacità narrative del marmotta riuscivano a tenere a riga il resto della banda senza che la sua credibilità ne venisse ufficialmente intaccata.  E se qualcuno continuava a mostrarsi malfidente alla prima occasione: Beh - prendendo per collo il diffidente e incattivendo il suo ghigno - tu non mi credi? Vuol dire che la prossima volta me ne andrò a giocare per i ... e vi lascerò perdere.
Prima di marmotta, i ragni avevano avuto come capo Coniglio, un spilungone con il manto biondiccio e la bocca tipica di un coniglio che basava tutta la sua autorità sulla forza fisica, laddove mancava di talento sportivo – a cui pensava di sopperire attraverso una tendenza da generale/allenatore e discutibili quanto impraticabili schemi. La sua arroganza e impreparazione non lo faceva molto gradito – ma nessuno si opponeva se non abbondando il gruppo.
Poi, un giorno, lui e tutta la sua famiglia scomparvero e Marmotta, grazie alle abilità sopra descritte, divenne naturalmente il capo. Egli stesso mise in giro la storia che Coniglio e la sua famiglia era stata fatta fuori, fucilati a causa di storie losche e nebbiose, furti nel supermercato della zona compiuti da Coniglio. Marmotta aveva visto tutto e sapeva dove erano sepolti solo che non poteva dirlo così come a loro non era dato saperlo se non avessero voluto rischiare la vita. Talvolta, se ne usciva sostenendo che l’argomento era tabu mentre un’altra veniva con un sacco di ossa che gettava dinanzi agli occhi esterefatti della gang. Questi appartenevano alla sorellina. Una volta con una magliettina con dei fori dicendo che appartenevano alla mamma. Le ossa erano resti di pollo che il Marmotta si prendeva la briga di pulire per bene.

Tornando a noi, i ragni marciavano per allenarsi euforici verso il lago ghiacciato del pino nero, e si scombussolarono non poco trovandolo transennato per il divieto di accesso dei vigili del fuoco. Si avviarono verso l’altro lago del paese ma trovarono le stesse condizioni, stesso divieto e stesso panorama: estese fenditure e lastre di ghiaccio malinconicamente galleggianti che impedivano l’usufrizione del lago.
Dannazione, addio hockey, addio stagione, pensavano tutti e il campionato di calcio sarebbe cominciato solo a marzo. Che schifo di inverno e di natale...

Non rimase che giacere stesi sul prato umido e godere del sole, ognuno preso con i propri pensieri.

Il marmotta sentì di dover raccontare la sua versione dei fatti: quel giorno, il clima non era affatto impazzito. All’improvviso tutto aveva una sua logica ragione. Sapendolo, quella notte aveva risposto il piumino nel baule e con il pigiama a maniche corte aveva osservato il volgere della notte. Lo spettacolo era stato quasi magico, la luna, da gialla che era, si era coperta di un velo nero di pece. Il blu cupo era stato violentato da esplosioni di aurore boreali cosi come per la notte di San Lorenzo - c’erano le stelle cadenti solo che qui s’infiammavano con maggiore veemenza. Gli alberi sembravano ululare e i rami avevano le convulsioni come cani epilettici.
E quando la luna si risolse verso un colore rosso fragola – il trambusto era finito, il caldo aveva vinto sul freddo. Tutto regolare.
E che non si sarebbe affatto meravigliato se per convenienza avrebbero festeggiato il prossimo natale a Giugno nel pieno di una bufera di neve.

I bambini riflettevano sulla spiegazione, originale inverno, quando Emanuel – il più piccolo - scoppiò a piangere con una lena fuori dal comune. Si dovette alzare il fratello maggiore per scuoterlo dalla crisi di pianto e non potendolo fermare,gli procurò un manrovescio che lo zittì senza tuttavia fermare l’effluvio di lacrime silenziose che scendevano giù – sotto il suo sguardo riprorevole.
Ansimando col naso cominciò un mormorio: se non c’è neve non c’è natale, e se non c’è natale non ci sono regali – riprendendo violentemente il suo pianto isterico, recriminando che avrebbe raccontato alla mamma che era stato picchiato.

Stanco e timoroso di sorbire le prese in giro del resto della banda lo afferò stringendogli il collo in una morsa col braccio destro , e a metà tra lo stufato e l’arrabbiato lo scaraventò a terra: in rapida sequenza si sedette sul suo petto con le ginocchia e con una mano gli serrò la bocca: e allora? Scimmia e allora?
Gli occhi del fratello invocarono una tregua
Ok, intesi, smetti di piangere se no te le do con gli interessi.
Il fratellino annuì.
Un silenzio irreale carico di preoccupazione era sceso sulla gang che cominciò a considerare la faccenda sotto un punto di vista pratico e meno romantico. Se per natale non c’era la neve – e il suo pupazzo - per quale motivo babbo natale avrebbe mai dovuto fare capolino: offeso dalla mancanza di rispetto avrebbe dirottato la sua slitta verso altre regioni più amichevoli e riconoscenti.

A corto di diversivi sportivi, l’idea di tenere un babbo natale fu preoccupazione dei bambini per la mattinata (per quanto alcuni nutrivano dubbi sulla sua reale esistenza ).
Una dote tipica dei pargoli è sicuramente di sfornare soluzioni a getto continuo.  Ecco che si suggerì: svuotare il frigo di tutti e di tutto il ghiaccio ma l’idea fu rigettata come quella di fare un babbo di fanghiglia – perché poco estetico. Non ebbero migliori fortune quella di usare un manichino (sì ma vallo a trovare) e una bambola di gomma (ah santi bambini). Ci si concentrò, invece, su un’altra idea: Se avessimo un signore per un paio di ore. Si ma chi verrebbe ? Tutti vogliono stare con la propria famiglia... accidenti. Tutti sì.... tranne il Rosso... sì il rosso. Lui sta sempre solo ...Voglio vedere come lo convinci ,,,,yhm uhmm Ho pensato un’idea, gli regaliamo una bottiglia di vino e lo convinciamo. Tutti abbiamo il vino a casa? Sì come lo ubriachiamo, quello sta sempre fuori e poi come lo convinciamo a vestirsi da babbo natale?

Quello che determina lo status di un villaggio in quanto tale era la presenza di uno scemo e di un ubriacone. Nel suo caso, il rosso assolveva nobilmente ambo le funzioni. Il tipo era autistico nei confronti degli altri, un solitario che mendicava alcool, cicche e del cibo, un orso incapace di esprimersi se non attraverso grugniti.
Senza saperlo e senza sapere come in quel momento il rosso era diventato il candidato numero uno per salvare il natale. La concitazione era alta tra i ragni impegnati a trovare una soluzione al come.

 Qualcuno era stato folgorato dal ricordo di una trasmissione in cui, incantate dall’oscillazione di un pendolino, le persone si convincevano a fare le cose più incredibile come muoversi a mo’ di orangotango o fare altre idizie per poi non ricordarsi nulla. Seguendo questa linea di pensiero, uno dei ragazzi tirò fuori una collanina: adesso conto fino a 3, salterai da fermo 1,2,3  e molti cominciarono a saltellare e tutti  a ridere.
Bravo – disse il Marmotta sarcastico  - prova con me.  Si capì che l’ipnosi non era realisticamente la strada da battere ma rimase l’idea di addormentarlo.

-Mia mamma per dormire prende sempre delle pillole - se gliene rubo 1 o 2 non se ne accorge nemmeno. E un altro: anche mia mamma non dorme se non con queste pillole. Che esercito di mamme in apprensione. Se le mischiassimo al vino non si accorgerebbe di niente. La saggezza del natale era sceso tra i ragni.
 Un piano con ruoli e piani fu approntato per il pomeriggio cui tutti parteciparono senza esitazioni. 
       

Alle 2,30 la temperatura si era abbassata ma rimaneva abbondandemente sopra i 10 gradi:  puntuali i ragni si trovarono nel parco dei fichi selvaggi; non distante da dove sorgeva la vecchia fabbrica di parabrezza che fino ad un recente passato aveva garantito un discreto tenore di vita agli abitanti del posto che adesso fungeva per il Rosso da dimora.
Il Trota e Kark furono mandati in perlustrazione mentre gli altri svuotavano gli zainetti. Ecco la magia del Natale: il perseguimento del bene ad ogni costo e a prescindere dal rischio, per cui i ragni che avevano fatto incetta oltre aspettativa dei mezzi necessari al completamento del piano. Non mancavano bottiglie di vino, sonniferi pillole, bustine e medicinali vari, poi una vecchia tovaglia rossa, diversi cappelli rossi presi qua e là e dalle carcasse dei babbo natale deceduti, un gilet di diverso formato, una barba, una carota e un pentolino.
Il marmotta si assunse la resposanbilità dell’operazione: sonno di natale.
Shakerò per benino il vino con un pillola, poi una successiva, un’altra ancora, infine una quarta. Il vino assunse un goliardico tono effervescente con una spuma accattivante agli occhi dei ragni. 

Non dovette mancare proprio molto dalla propria partenza ché i due esploratori mandati tornarono annunziando che avevano trovato il Rosso nel vecchio parcheggio a pochi metri di distanza. Emozionati, incapaci di stare  fermi, saltellavano per non perdere il ritmo e bastò loro capire che gli altri erano sul punto di seguirli che ripartirano a razzo
Le siepi selvaggi avvolgevano le reti arruginite e dietro di esse si bloccarono e attraverso delle fessurine gli occhi impauriti osservavano il rosso con un vecchio maglione borbottare, piangere, inginocchiarsi e gridare parole incomprensibili. 

Non si capì se la paura maggiore fu sua nel trovarso un moccioso sconosciuto all’ingresso del vecchio stabilmento o di emanuel che era stato costretto al compito, complice l’indifferenza del fratello al suo destino, o la promessa del resto della band di intervernire in caso di complicazioni scagliandosi contro il Rosso.

Nell’immaginario del Rosso, i bimbi erano delle bestie peggio degli uomini adulti che, oltre a qualche insulto, non andavano senza considerare che da loro poteva avere qualche cicchetto. I bimbi si erano dimostrati i più crudeli facendolo oggetto dei loro miserabili scherzi, sassate, attacchi gratuiti e ingiustificati.
Si rialzò e guardò lupescamente Emanuel che lasciò cadere dalle mani la bottiglia. Pianse per l’ennesima volta, i pantaloni si inzupparono, e corse fuori dall’ex posteggio: Mammina.
Tutti gli altri scapparono, alcuni caracollandosi addosso, quando videre il rosso muoversi verso l’uscita. Si posero’ ad una certa distanza di sicurezza e quando ci si accorse che del rosso non c’era traccia il marmotta volle recupare dall’infamia della fuga. Con la destra fece cenno agli altri di stare fermi che si confermarono alle sue spalle in attesa. Il marmotta si avvicinò al recinto, invitò i suoi al silenzio assoluto. Mai in tutta la sua vita la sua autorità si sarebbe mostrata più palese né l’ammirazione dei suoi piu sincera.
Adesso riusciva a scrutare il rosso che stava osservando con ottusa curiosità la bottiglia. Poi la prese, con circospezione si guardò a destra e a manca fece il giro dello spiazzo – identica cosa fece il marmotta – mentre lentamente il resto della banda si univa al capo. In pochi attimi tutti aldilà delle siepi, più di una fila di ventina d’occhi  spiavano il rosso andarsi a rifugiarsi in una decapottabile e incollarsi il becco sulla bottiglia. Lunghe sorsate, poi il rosso poggiò la bottiglia sul sedile e reclinò la testa
Non posso sapere se avesse notato qualcosa di strano nel vino – ma anche lui era giunto alla conclusione che qualcosa era sballato col clima. In questa sua sorta di riflessione che spiegava il nervosismo della sua mattina iniziò a notare lo slalom delle nubi che sprintavano come palle di biliardo. Cercava di afferrarne una con lo sguardo, una, poi un’altra ma erano troppo veloci, sembravano adesso cosi rapide che stessero intasando tutto il cielo. Alla fine ebbe l’impressione che il cielo stesso crollando su di lui e si addormentò.

Aldilà delle siepi si comprese che il rosso aveva perso i sensi solo una manciata di minuti dopo.
Siii dorme si sussuro’ – andiamo.

Il marmotta, fautore del piano e pressato dal peso della sua autorità, prese un bastone e si avviò verso l’entrata per quanto ad un metro dalla carcassa d’auto il piano gli parve meno fattibile del previsto. Aveva paura: quelle frasi da film o fumetti “a noi due porco” che aveva sognato usare e per cui si era esercitato in casa non fecero capolinea nella sua testa. Pur tuttavia, facendosi forza con il legno, cercò di pungulare il rosso non ottenendo nessun effetto, provò e riprovò e alla fine dalle narici del Rosso solo una ronfata vaporosa venne fuori.
Questo rassicurò il marmotta e gli altri che lo avevano raggiunto e che vi si erano schierati attorno.

La tovaglia rossa con un buco al centro fu calata sul collo del novello babbo natale. Dopo seguì il cappello e, infine, con estremo coraggio, una finta barba fu gettata sul collo. Tutti si guardarono con soddisfazione. Certo, c’erano stati di babbi natale più nobili di quello, più in linea con la tradizione ma, in fondo, visti i chiari di luna, non si poteva di meglio. Infine, lasciarono come segno di gratitudine il vino che era stato raccolto e si allontanarono verso casa.

Sulla strada del ritorno qualcuno cominciò ad alzare la testa al cielo, qualcuno a stendere il palmo delle mani per dare conferma alle prime sensazioni.
Goccioline cadevano lentamente dal cielo come petali bianchi. Signori nevicava.
Neve, neve... sì, nevicava..
I ragni cominciarono a correre euforici scivolando molti sulla sottile pellicola bianca. Lo spirito del natale era stato salvato 

Quella notte nevicò come non mai. E così fu per le notti successive. Fu in assoluto l’inverno più freddo registrato degli ultimi dall’inizio del secolo. In marzo quando la natura riassegnò i colori e gli umori del tempo alle cose il Rosso fu trovato colla testa reclinata verso il cielo una specie di grugno e delle bottiglie di vino attorno.
I ragni non andarono mai più a giocare in quelle vicinanze.

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