lunedì 27 dicembre 2010

Irlanda. Cliffs of Moher. Le più imponenti scogliere della verde isola.


Alberto Amorelli
“The only baggage you can bring is all that you can't leave behind”

Giugno 2006

I tre amici sono a metà del viaggio, sei giorni su dodici.
È simbolico che proprio in un incredibile giorno soleggiato siano arrivati esattamente qui in uno dei luoghi più mozzafiato della selvaggia Irlanda occidentale. Hanno depositato i bagagli nell'accogliente bed and breakfast Gleasha Meadows nella vicina e colorata cittadina di Doolin, classico punto di partenza per le ancestrali Isole Aran.
Pochi chilometri e fermano la macchina nell'ampio parcheggio del Visitor Centre delle Cliffs. Poche nuvole bianche in cielo come i barbigli di un vecchio Fortuna-drago e un brillante sole che fa risplendere di luce propria uno scintillante oceano atlantico. È tardo pomeriggio ma c'è abbastanza gente, non potrebbe essere altrimenti, diversi pullman, comitive di turisti. I tre amici li evitano sistematicamente, non vogliono che le loro sensazioni siano contaminate dalla confusione e rapidamente guadagnano le scogliere, si tirano sulla testa i cappucci delle felpe e dei k-way e si immergono nella meraviglia più assoluta.
Il vento è forte, quasi da spostarli di peso, il verde litorale è spezzato da queste imponenti “sculture” naturali in strati di vari colori formati con il sovrapporsi di scisti e arenarie, popolati da gabbiani, corvi, garze marine. Con la vittoriana O'Brien's Tower sulla loro destra i tre amici si spingono fino al limite delle scogliere, camminano piano perché il vento è fortissimo lassù e anche per godere appieno dell’insieme che si di-svela davanti ai loro increduli occhi. Si fermano a pochi passi dal salto di duecento metri che precipita nell'oceano. Si siedono uno vicino all'altro, i jeans sfregano sulla nuda pietra.
Quello che puoi vedere da lassù è il mondo, l’infinito. La pulsante distesa di acqua che si estende a perdita d'occhio, che spinge lo sguardo e l'anima oltre il limite fisico a cui tutti siamo abituati. Non c'è nulla di più, i problemi sono rimasti a casa, in un altro mondo, forse uno di loro pensa che sarebbe bello portarci la sua compagna, anche l'altro lo pensa, ma non sa se crederci davvero, e l'ultimo pensa e basta, riflette su tutto, davanti a lui l'infinito, l'ignoto, squarci di un futuro appena accennato in quell'immenso oceano di risposte.
“Cosa devono aver pensato i primi uomini che sono giunti qui?” si domanda il secondo
“L’immensità che guardi non sarebbe nulla senza qualcuno a guardarla” cita il primo.
“Noi siamo l’altro cinquanta per cento dell’immensità, giusto?” chiosa l'ultimo, quello che cerca risposte. Forse hanno pensato davvero questo, forse gli esploratori di queste terre hanno scoperto che prima bisogna essere esploratori del proprio animo.
Il sole sta quasi per immergersi nell'oceano, il tempo è passato senza che i tre amici ne avessero la percezione, prima di andare, come tributo a questo luogo dell'anima, compiono un antico rituale indiano. Bisogna sempre lasciare qualcosa di proprio, di importante, un pezzo del nostro essere, al luogo che in cambio ti ha dato tanto di se stesso. Qualcosa che hai portato con te fino a qui come un bagaglio del passato, qualcosa che ha segnato una parte della tua vita, nella speranza magari di ritornare e trovare il “te stesso” passato e vedere cosa è cambiato negli anni.
In una buca piccola, in un punto imprecisato delle Cliffs of Moher, oltre un cartello di divieto di proseguire, lasciano tre oggetti: una foto, un tesserino scaduto e una preghiera.

Novembre 2008

Irlanda. Cliffs of Moher. Le più imponenti scogliere della verde isola.

Dovevo tornarci, non potevo mancare all'appuntamento con il me stesso di due anni fa.
Con me oggi c'è lei, siamo in viaggio noi due soli. Certe sensazioni, però, non sono mutate, certo fa molto più freddo di quell’estate, ho un berretto di lana e un maglione pesante a collo alto, il vento soffia come un dannato e lei si protegge con un' immensa sciarpa dai colori caldi. È tarda mattinata e le Cliffs hanno diversi visitatori, pullman e il Visitor Centre sulla destra diversi metri sotto la O'Brien's Tower. Dejà vu. Ci sono nuvole spumose oggi come la schiuma della Murphy ma c'è anche un sole coraggioso che fa capolino con i suoi raggi nel cielo chiaro autunnale. La sensazione di immensità provata con i ragazzi anni fa non è mutata, prendo la mano della mia ragazza e la conduco fino all'infinito davanti a noi. Se molte emozioni non sono cambiate altre cose invece si sono evolute per le Cliffs in due anni. C'è molta più sorveglianza, un qualche corpo di ranger delle scogliere. Il tuffo al cuore è vedere che sono state erette delle barriere di pietra alte circa cinquanta centimetri che rendono impossibile raggiungere il limitare della scogliere sull'infinito. Difficile ora essere un tutt'uno con la vastità di fronte a noi. Lei è estasiata dalla vista, è una delle cose più belle che abbia mai visto, mi dice Il sole squarcia le nuvole e le illumina gli occhi scuri che brillano, la guardo e sorrido, e alla fine mi rendo conto che sono felice, e che tutto cambia per una ragione. Ora ho le risposte, quell'oceano, quel cielo e quel sole me le hanno già date. Passeggiamo ancora un po' fino a che non vedo sul sentiero tra diverse barriere di pietra il cartello rosso scuro che vieta di andare oltre quel punto per la sicurezza del visitatore. Più avanti c'era la nostra buca. Lei mi legge dentro e mi dice che mi aspetta qui, che posso andare tranquillo a cercare quello che io e i ragazzi ci siamo lasciati alle spalle. Scavalco la barriera e proseguo sul sentiero. Tutto è uguale e tutto è diverso allo stesso tempo, la terra è più smossa, c'è più verde, erba troppo alta che non mi permette di trovare la buca. Cerco per almeno mezz'ora, avanti e indietro. Inutile, la buca non c'è più. O meglio, nel profondo dell'animo so che c'è ma non so dove. Forse per ogni cosa c'è un tempo, un momento preciso in cui ti viene di-svelata, in cui ricompare, e, probabilmente, non è questo. Sorrido tra me e me, e poi saluto con un cenno del capo l'oceano davanti a me. Alla fine di questo sentiero, tornando indietro, mi aspetta lei, e questo è tutto quello che conta. Non è educato farla aspettare ancora, non credete?

Nessun commento:

Posta un commento