domenica 26 dicembre 2010

La storia delle mie 42 volte a Praga


 
Impoliticvs

E poi c’è la Città del Ponte. E il legame inscindibile innegabile che hai con Lei. Il legame che si è consolidato in tante veglie assaporate, nel sole scosceso che fa capolino tra la quiete di Na Kampě. Nella neve. Nella tanta neve. L’insieme dei suoi vicoli e dei viottoli. Questa città “che non è altro che un intrico di strade e collinette, un sussurro di Dio”. E degli abitanti che la rendono viva. E che adoriamo esattamente per come è. Non ne cambieremmo niente. La accetteremmo così, con i difetti e tutto. Anzi, soprattutto con quelli.

Un rapporto vecchio, complesso. Anzi, quasi un vizio. Ma uno di quelli buoni, cui ti abbandoni docilmente, sapendo che non ti porteranno in nessun posto deprecabile. Nato con il rintocco di un destino adeguato, che non osavi nemmeno pronunciare ad alta voce, per paura che svanisse. La storia delle mie 42 volte a Praga è questa ed è tanto altro. È la storia di una passione per i viaggi non fine a sé stessa. Più per le persone che i viaggi li compongono, come tanti piccoli puzzle animati. Variopinti. Dinamici. Caleidoscopici. E dell’altra passione concomitante, quella per i ritorni. Per le riletture. Per i riascolti. Per le seste, ottave o none visioni. Per le strade di casa che ritrovi fuori casa. È per questo che sono stato, e che tornerò. Ancora e ancora. Finché non sarò stanco, e so che non succederà facilmente. 





La magia, peraltro, inizia la notte della vigilia. Il bagaglio che dopo centinaia di partenze assembli quasi ad occhi chiusi, divinando in parte luoghi, frequentazioni, imprevisti, umori cromatici volubili. Poi la lunga attesa. Coordinare ossa muscoli pensieri per spingerli verso la stessa direzione. È questo che ci giustifica. La curiosità. L’esplorazione del limite. La certezza che non ci sia maniera migliore di crescere che strapparsi a forza dal divano di casa e dalle pantofole per sfidare l’ignoto e rincorrere la linea del domani con le braccia spalancate.
Poi si parte e tutto, alchemicamente, si rinnova e nel sogno si concretizza; e allora sai che ci saranno posti, sensazioni. E sai che avrai i sensi spalancati, che sentirai i rumori amplificati, vedrai cose che non hai mai visto e, soprattutto, che ne adorerai ogni singolo istante. 



La prima volta è stata nel 1998, me la ricordo come se fosse ora quella strada avventurosa che i nostri dèi in vena di umorismo ci hanno fatto percorrere sotto una nevicata storica dal Tarvisio in poi; il fienile che ci ha ospitato per una notte isolato in un paesino che pareva Eschberg. Poi Tábor, quella corsa nel campo innevato solo per celebrare il fatto che fossimo vivi. E poi Praga. La bellezza, la luce. Le parole. La magia che aveva una singolare familiarità con altri posti, altri luoghi. Come un lunghissimo, inspiegabile déjà-vu



Nei post-it che attacco su di un muro immaginario per riordinare tutto quello che per me ha significato Praga, c’è un’altra data fatidica che è il 2003, quando riprende un rapporto adulto, scandito non dalla flemma rilassata della vacanza ma dai viaggi di lavoro. È l’occasione di spingersi sotto la superficie di tutte quelle sensazioni impressionistiche percepite un tempo. Fatto come sono fatto, nessuna occasione migliore per espandersi. Da lì tre anni e mezzo luminosi, rigogliosi. Un periodo irripetibile. Un periodo che ha significato il coronarsi di un sogno egoisticamente preteso e ottenuto con tanta facilità da sembrare quasi legittimo. E le fondamenta della maledizione, se mi è permesso, sono state poste in quel momento. Nelle giornate operose, nelle nottate senza fine. L’affetto di una sorella un po’ ruvida che però, alla fine, ti vuole bene veramente, al di là di tante inutili smancerie. 



Dopo quello un succedersi di ore e momenti. Alcuni di essi indimenticabili. Che vanno a costruire, nel bene o nel male, la persona che sei.
Quando me lo chiedono, cosa mi piace tanto di Praga, sono sempre un po’ in difficoltà. Con gli interlocutori meno curiosi me la cavo con il salomonico “non è una sola cosa, ma un insieme di cose”. Ma quando ci penso e provo a districare i fili, non è che le cose si chiariscano particolarmente. È evidente, la Praga vecchia è l’insieme che contiene quella nuova, uno dei tanti “mostri” eterogenei che ha rischiato di produrre, nemmeno si trattasse del Golem, questa nostra gloriosa Europa Unita. Con annesso quel frizzante e gustoso spirito anarchico che i praghesi hanno propiziamente conservato. Stranamente, però, i riferimenti che mi vengono alla mente sono sempre gli stessi, di prima e di dopo. Un ristorante bizzarramente vicino al centro, U Spirku, che non ha perso niente, se non (forse) un po’ di polvere, del carisma tesliano che lo abitava e nel quale ho vissuto la mia prima epifania alimentare, provocata dallo smažený sýr. C’è un locale, il Bombay, in realtà un club per turisti, ma nel quale notte dopo notte mi sono divertito a vedere la città dischiudersi come una valva filtrando le illusioni e le speranze dei suoi abitanti provvisori. Ci sono le vie incantate di Hradčany e del Vicolo dell’Oro e soprattutto il Monastero di Strahov, e l’agghiacciante bellezza della sua Sala Filosofica. 



Ma se voglio pensare al “posto” per eccellenza, devo tornare al 1998, a quella birreria scrostata di Evropská Ulice in cui ho realizzato in che maniera i praghesi aderissero alla loro pivnice, quasi si trattasse di un’estensione della vita privata. Dovrei reimpadronirmi di tutte le illusioni di questo mondo e dovrei prepararmi a trovare la chiave di qualcosa a cui tenevo molto e che faticavo a scollarmi di dosso. E ricordare tutte le volte che ci sono tornato, esattamente in quel posto, sulle ali dell’immaginazione. Confermando come molto spesso sottovalutiamo un potenziale enorme, racchiuso, amorevolmente, nel nostro io più profondo.

Pagherei tutto l’oro del mondo per essere ancora là, in questo momento. Lo giuro.

E per rimanerci, sì. Rimanerci per sempre.

1 commento:

  1. "Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un bàratro i persecutori, i monatti. Ed io vi ritornerò. Certo che vi ritornerò. In una bettola di Malá Strana, ombre della mia giovinezza, stappate una bottiglia di Mělník. Andrò a Praga, al cabaret Viola, a recitare i miei versi. Vi porterò i miei nipoti, i miei figli, le donne che ho amato, i miei amici, i miei genitori risorti, tutti i miei morti." (Angelo Maria Ripellino, "Praga Magica")

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