lunedì 27 dicembre 2010

Il Cimitero di Praga


Vlfvs in Fabvla

Mi sono interessato a questo romanzo sin dal primo momento in cui, ancora poco più di un’indiscrezione, ne ho avuta notizia. Desideroso di arricchire la rivista di cui sono caporedattore ho cercato, tramite le gentili voci femminili della Bompiani, di arrivare ad un’intervista con il Sommo Professore dato che, all’epoca, ero ancora convinto che il titolo, il Cimitero di Praga, fosse rappresentativo di azioni svolte nella capitale praghese dove vivo. Il muro della discrezione e del segreto, tema tanto caro ad Eco, sul contenuto del libro era così alto che ho presto rinunciato a scavalcarlo. E così sono rimasto in attesa fino a quando un carissimo amico, l’Impoliticvs che condivide con me l’avventura di Alpha Litterae, anche lui inguaribile malato di parossistiche buone letture, dopo un’assenza di due anni torna a visitarmi a Praga e, con sé, mi porta una copia dell’agognato romanzo. Risulato: divorato in due settimane.
Evidentemente è servita una ricorrenza importante come il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia per stuzzicare nel Maestro alessandrino la voglia di capire, ma soprattutto di far capire, come sono andate davvero le cose. Inutile dire che il quadro che, con un linguaggio sempre ricco e forbito, come suo costume, ma non carico ed ermetico come a molti parve quello del “Nome della rosa”, dipinge è lontano anni luce dal quadretto bidimensionale e sciatto della retorica insipida che ci hanno propinato a scuola e con la quale si sono assicurati la ripugnanza di milioni di italiani a capire la propria storia. Eco interviene a gamba tesa: con il piede di porco di Simonini, un falsario abietto, cinico, privo di scrupoli, scassa il coperchio di un vaso di Pandora che, grazie agli attesi formalissimi eventi di festeggiamento previsti per Italia 150, rischiava di rimanere ancora più ermeticamente sigillato. Il contenuto è gustoso, appassionante, la lettura scorre, come gli eventi del libro, velocemente e in modo scoppiettante, non mancano detonazioni, spari ed esperti di bombe, tra intrighi, tradimenti, documenti falsi e cadaveri di più o meno innocenti personaggi che si sono messi nel mezzo tra soggetti molto pericolosi: Simonini, la Storia, la Retorica dei 150 anni e, naturalmente, Eco. Non so in che misura questa mia ricostruzione sia da considerarsi attendibile, ma, sia come sia, queste furono le prime sensazioni che ispirò in me e come tali vi resto affezionato.
La seconda parte del libro, ambientata a Parigi, è più complessa e meno veloce della prima, ma non per questo meno valida, anzi, dove Eco decide di proseguire su un tracciato già a lui e ai suoi devoti lettori ben noto: quello dei presunti grandi complotti della storia modello massonerie varie. Ma questa volta il virtuoso italiano del romanzo storico non si ripete e, dal vaso di Pandora che aveva già ampiamento aperto e che, ormai credevamo vuoto, tira fuori una prelibatezza letteraria dal sapore pungente e l’odore acre del sangue innocente versato: le origini delle persecuzioni degli ebrei nell’800. Messa così non sembra niente di novum sub sole ma la verità è che c’è una miccia corta che brucia. La bomba a orologeria è l’immensa ricerca storica che l’insigne dotto ha condotto e che ha riportato fedelmente nel suo romanzo. L’unico collante tra personaggi, libri e complotti ai danni del popolo ebraico realmente esistiti è, perlappunto, Simonini. Tutto il resto è, drammaticamente, realtà storica, molto scomoda, che il nostro Re Umberto della letteratura italiana moderna, in solitudine sovrano insuperabile, ha voluto riportare a galla, come un cadavere mezzo putrefatto, e pure questi non mancano nel libro, che credevamo, e forse molti speravano, sepolto e dimenticato. Non certo archiviato per assoluzione ma per il-legittimo impedimento di processare quella cultura e quella civiltà che è stata all’origine di queste barbarie: la nostra. Eco non ha pietà di noi e fa bene. In una macabra danza di scrittori di pamphlet velenosi pronti, per pochi denari, a scatenare campagne di odio irrazionale contro gli ebrei o contro i massoni o contro i massoni e gli ebrei insieme (se massoni ebrei pure meglio), gesuiti e finti preti, servizi riservati, rivolte e sommosse popolari, cabale e riti satanici descritti nei minimi dettagli, assassini “necessari” e sparizioni misteriose il mix è davvero esplosivo tanto che, più che con l’inchiostro, pare scritto con polvere da sparo.
Ma la grandezza del libro non sta solo nella sua leggibilità e godibilità (naturalmente parlo ai lettori di una certa caratura che possano sostenere il peso di un Eco), figlia degenere e maliziosa di quei complotti, violenze, segreti e colpi di scena di cui il voluminoso tomo è ricco e che appassionano facilmente tutti noi, né tantomeno nei milioni di copie che sicuramente venderà e nel fatto che molti di noi vi torneranno sopra. La grandiosità dell’opera sta nell’aver svelato con una narrazione semplice i meccanismi di strumentalizzazione dell’odio ai danni di una minoranza di capri espiatori, e da secoli in Europa purtroppo gli ebrei, loro malgrado, rivestono questo ingrato ruolo, tramite lo strumento culturale per eccellenza: il libro. Eco ci mostra come i poteri forti – imperatore, gesuiti, chiesa – manipolino  le coscenze delle persone canalizzando le loro insoddisfazioni verso segmenti più o meno inermi della popolaziopne per evitare che questi stessi flussi negativi finiscano per torcersi contro di loro mettendo in pericolo il loro potere. Sì, lo sapevamo, ma vedere così da vicino e descritto in modo così chiaro la formazione di questo processo di stigmatizzazione è davvero sconcertante. Dopo aver letto questo libro si fa più fatica a stupirsi di tragedie come l’olocausto e altri atroci genocidi. Uno spaccato impietoso sull’origine, soprattutto sociale più che psicologica, dell’odio verso ciò che è diverso da noi ad opera di chi, spietato e senza scrupoli come il Simonini della situazione, sa come guadagnarci sopra. È in fondo il vecchio proverbio “tra i due litiganti il terzo gode”. Eco ci mostra con chiarezza chi sono i due litiganti, chi è il terzo e perché gode così tanto e come ha fatto a mettere i primi due uno contro l’altro. In altre parole è il divide et impera con i quali i romani hanno conquistato e governato nel sangue l’intero mondo allora conosciuto.
Pecche? Forse la doppia personalità di Simonini e l’abate Dalla Piccola e il loro scambio epistolare nel quale ognuno cerca di ricostruire le vicende sue e dell’altro non è stato gestito al meglio, d’altra parte non era neanche compito facile in questo vortice di maschere e mascherati. Eppure, tutto sommato, a mio avviso questo gioco comunque arriva al suo scopo: mostrare la doppiezza dell’uomo, la sua natura complessa, la sua personalità che può creare e crea, per scelta consapevole, il male. Quello che Eco ci vuole trasmettere è che in tutti noi c’è un Simonini e forse, complessivamente, questo è anche il messaggio meno digeribile che, rimasto indigesto a molti, ha scatenato le polemiche. Polemiche che forse Eco adesso sta pregustando, convinto non solo, ancora una volta, di aver dimostrato un controllo encomiabile della lingua e della storia, ma, e qui riscopriamo in parte un proposito quasi didattico del romanzo storico à la Manzoni, anche di aver contribuito in modo sostanziale a permettere a milioni di lettori di poter gridare, se decideranno di farlo, “Il re è nudo”. Un grande monito a fare sempre molta attenzione a ciò che ci viene detto dai mezzi di comunicazione perché dietro, forse, potrebbe esserci proprio un Simonini e noi in Italia, purtroppo, di Simonini ne abbiamo davvero molti.

 E se un libro può provocare un dibattito come lo sta provocando questo, se un libro viene scelto come materiale di studio nelle scuole per capire le origini dell’odio e del razzismo, allora sappiamo di essere di fronte non solo ad un grande e godibilissimo romanzo, ma anche ad un potente strumento di informazione e di sensibilizzazione quale il Libro, nobilissimo feticcio di Eco e di tutti noi piccoli adepti delle buone letture, può e dovrebbe essere. Non serve chissà quale immaginazione per applicare al mondo che ci circonda, che almeno in Europa sembra aver dato una, si spera definitiva, tregua all’odio per gli ebrei, gli strumenti che Eco ci mostra: arabi, terroristi, albanesi, nomadi, rumeni. C’è sempre qualcuno più debole di noi che i nostri archetipi più profondi della paura immoleranno, suo malgrado, sull’altare delle nostre frustrazioni, insicurezze e insoddisfazioni mentre, alle spalle, c’è sempre qualcuno che dirige la campagna di odio e ride dei lauti guadagni che ne trarrà. Mi è capitato di leggere in un articolo interessante che durante la peste della metà del XIV secolo migliaia di ebrei furono trucidati perché ritenuti untori, diffusori colpevoli del morbo. Un qualche Simonini ante litteram si sarà, quindi, preso la briga di diffondere voci e leggende su nasuti e loschi giudei visti aggirarsi nelle oscurità mentre ungevano con il morbo le porte e i muri delle case dei buoni cristiani. Una volta scatenato l’odio dei villani i presunti untori venivano sommariamente eliminati, ché a quei tempi di processi giusti non si sentiva troppo l’esigenza. Successivamente, grazie ad un decreto ad personam del sovrano, le loro proprietà venivano confiscate dalle città che ospitavano i ghetti distrutti e che vantavano crediti verso il re. Questi, perennemente indebitato per sovvenzionare le continue guerre, concedevano loro il perdono formale per i massacri e, con la proprietà materiale dei beni degli ebrei venuti a mancare per volontà di Dio, ripagava i propri debiti nei confronti di queste città. Ecco i due litiganti e il terzo gaudente. Ecco perché un libro come questo andrebbe non solo letto ma diffuso il più possibile perché, forse, il sapere la verità può evitare, finché se ne conserva la memoria, che l’odio nasca e si prepetri ancora.
Complimenti Professore, a Lei tutto il mio rispetto e la mia gratitudine.

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