lunedì 27 dicembre 2010

Ametista zaffiro granato


 
Simona Dalbuono

La cattedrale di Salisbury è grande, fuori scala.
Da piccola mettevo sempre nel presepe un cavallino bianco, che in origine faceva parte di una fattoria giocattolo. Superava in altezza i cammelli di tutta la testa. La cattedrale è così: regna al centro di una piccola città, tra edifici modesti, adagiata in un prato verde, dove riesce ad essere inspiegabilmente sia immensa che elegante. Fuori è tutta altezze e sole tra le guglie, all'interno si raccoglie in ombre fresche e mille particolari da scoprire. 
Io sono dentro, assieme a mia cugina Carla, a visitarla, macchina fotografica in pugno. Adoro le chiese inglesi, camminare tra le iscrizioni sui muri, sui pavimenti, le armi e le statue, tutte queste vite evocate, le epoche raccolte una accanto all'altra. Perdo presto di vista Carla, veniamo incuriosite da particolari diversi e ci allontaniamo quasi subito. Dedico parecchi minuti a catturare con la macchina fotografica il riflesso delle volte nella fonte battesimale, ma non riesco ad ottenere il risultato che vorrei, allora proseguo lungo la navata, facendo attenzione a restare sui bordi tra una pietra tombale e l'altra, per non calpestarle. Immagino siano qui anche per questo scopo, per fare da pavimento, ma mi sembrerebbe irrispettoso. 
Al limitare tra la navata centrale e quelle laterali sono esposte tombe più ricche, sormontate da statue giacenti. Mi avvicino per studiare i dettagli, per immaginare quali vite abbiano vissuto il cavaliere in armatura, la coppia di sposi, il vescovo. Fotografo il viso, parlando mentalmente con i miei modelli. Giusto un saluto, non una vera conversazione con gli spiriti, naturalmente. "Ciao, io sono Rosa, e tu?". E per avere risposta leggo la targhetta. Se non fossero esposti qui, nessuno parlerebbe più con la loro anima, sono morti tutti quelli che hanno conosciuto. Non hanno nessuno in vita che li pensi con affetto, nemmeno i bisnipoti sapranno che si trovano qui. Chissà, allora, se hanno imparato ad essere amici delle persone che giacciono accanto a loro, anche se li separano un paio di secoli. Se il cavaliere in armatura ha stretto amicizia con l'uomo di corte di fianco a lui, nella navata opposta. Sorrido di me stessa, per queste idee. Provo a fotografare assieme cavaliere e cortigiano, farli sembrare in relazione tra loro. Il cavaliere in primo piano e il cortigiano sullo sfondo. Faccio qualche scatto, poi devo attraversare la navata per invertire i ruoli, perché entrambi siano protagonisti. Cortigiano in primo piano e cavaliere sullo sfondo. Sento uno strattone alla borsa. Mi giro e non vedo nessuno alle mie spalle. Nessuno in tutta la chiesa, dal punto in cui mi trovo. Che sia il cavaliere? Non vuole che metta in primo piano il cortigiano? Guardo in volto quest'ultimo. "Sei stato tu?" gli chiedo, ma non ho risposta. Attraverso nuovamente la navata e torno dal cavaliere. "Sei stato tu?", nemmeno lui fa cenni di assenso. Un po'per gioco e un po' sul serio ricomincio il mio giro di visita, questa volta non con l'intento di fare foto, ma di scoprire chi mi ha chiamata. Ritrovo Carla, ma non mi fermo con lei, ho qualcosa da fare. Anche gli altri visitatori riappaiono, la cattedrale non sembra più deserta, eppure non trovo quello che cerco. Faccio il giro completo dell'abside, e sono quasi al punto di partenza quando sento un buon profumo. Non saprei riconoscere di che essenza si tratti, forse è passata di qui una signora che ha un po'ecceduto. Ma sono di fronte alla porta di una piccola cappella, addossata all'altare maggiore. Che sia un segno? Entro. È molto bella, preziosa, ricca di intagli.
Vi si trova una piccola immagine della Madonna. Cosa devo fare? Forse devo inginocchiarmi? Resto un momento in dubbio, poi decido di rimanere in piedi e recito una preghiera a Maria, perchè protegga la mia famiglia e mi aiuti a costruirmi una vita giusta. Poi esco. Non succede nulla. Quello che devo trovare mi sfugge. Con un sospiro riconosco che mi sono inventata tutto, Carla mi sta già aspettando, mi avvio verso l'uscita. Appena fuori, sotto il portico del chiostro a fianco della cattedrale, vedo a terra una perlina di plastica. La raccolgo, perchè mi diverto a creare gioielli con cristalli o pietruzze, e questa è una bella sfera di un azzurrino iridescente, sarà anche un ricordo di questo viaggio. E nel momento in cui la raccolgo arriva la sensazione che prima non trovavo. Nitida. Questo volevi da me? Che trovassi una perlina? È un regalo? Nascondo la perlina in tasca, facendo bene attenzione a non perderla e anche a non far accorgere Carla.
Appena esco in pieno sole mi trovo davanti un turista che attraverso l'obbiettivo della macchina fotografica sta guardando in su, la facciata della cattedrale. I ricci castani e l'abbronzatura meditarranea mi suggeriscono che difficilmente potrebbe essere un discendente del cavaliere. Più probabilmente di un navigatore veneziano, o un commerciante di Firenze. Motivo per cui mi volto in fretta, faccio parte di quei turisti che all'estero scappa dai connazionali. Se non fosse che Carla è tutto l'opposto, e infatti qualche metro più avanti sta già parlando italiano con qualcuno.
"Carla, andiamo?"
Troppo tardi. Tempo 5 minuti, e ha combinato appuntamento per cena al pub di fianco al nostro bed & breakfast.

"Ma proprio due italiani, Carla? Non potevi attaccar discorso con qualche inglese?"
"Credi che non avrei dovuto? Lontani da casa, è quasi come essere parenti... Vedrai che sono simpatici. E al pub stasera parleremo con qualche inglese, te lo prometto."
Io sto già parlando col pensiero al mio cavaliere, mentre mi rigiro la perlina nella tasca, e andiamo verso il museo cittadino. "Me la volevi regalare?". Ma come faccio a sentire la risposta? Se almeno fosse stato qualcosa di più raro da trovare in terra, avrei avuto meno dubbi. "Non potresti farmi trovare in regalo un bel gioiello d'oro?" Chissà se mi ascolta. No, quasi sicuramente. E ho ancora l'impressione che qualcosa mi sfugga.
Intanto arriviamo e piuttosto rapidamente esauriamo la visita al museo cittadino. È un piccolo museo di provincia, di quelli che in genere gli abitanti del posto rimandano di visitare per tutta la vita, con pochi pezzi e molti pannelli illustrativi. L'attrazione più coinvolgente è un bimbo che, sdraiato sul pavimento, gioca al soldato in agonia. O forse all'orso nella tana, non so. L'effetto sonoro è comunque degnamente raccapricciante. Quando si ritiene soddisfatto della performance si alza, ci dice qualcosa in inglese con tono di riprovazione, noi non riusciamo a capire, e corre via dalla sala. Così, ritenendo di avere visto abbastanza, ritorniamo fuori, indietro sui nostri passi, per visitare Mompesson House, con molta anticipazione: è una dimora del XVIII secolo, sede di un film tratto da Jane Austen, e le guide segnalano la presenza di una notevole collezione di bicchieri. Così potrò immaginare chi la abitava, chi collezionava i bicchieri. Non evoca un quadretto delizioso, di ospiti vestite di mussola e nastri intrattenute di fronte alla vetrina, con un nuovo acquisto come argomento di conversazione?
La casa si trova in Cathedral Close, quindi dobbiamo ritornare a passare davanti alla cattedrale. È veramente bella e maestosa. Mi perdo a guardare in su, le statue e gli archi al sole. Abbasso gli occhi sul vialetto e vedo una cosa. Sembra, la raccolgo, una spilletta. Dorata. D'oro? Con tre pietrine colorate.

Sei stato tu?

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